L’assalto in pallone a quota 3152

Estate 1917.

L’obiettivo principale delle truppe italiane sulla Marmolada erano le postazioni a quota 3153, incombenti sulla cosiddetta “Forcella a Vu”, all’inizio della cresta per Punta Rocca, che erano state trasformate dagli austriaci in un vero e proprio fortilizio.

I vari tentativi di attacco frontale si erano dimostrati impraticabili, mentre l’accesso dalla parete sud rappresentava un’impresa alpinistica non indifferente, trattandosi di una parete a strapiombo di ~ 500 m, con difficoltà alpinistiche di V-VI grado.

“Per salire fin lassù ci vorrebbero le ali”, sembra abbia concluso un ufficiale superiore, in ispezione all’Ombretta. Forse questa fortuita considerazione fu alla base del progetto di attacco alla Marmolada con un pallone aerostatico frenato.

Nonostante le perplessità degli ufficiali del Battaglione Alpini Val Cordevole, che avrebbe dovuto fornire gli alpini per l’impresa, ed il parere sfavorevole del Corpo Aerostieri, il Colonnello Peppino Garibaldi, che era al comando delle truppe nel settore della Marmolada, decise di portare avanti il progetto ed invitò in zona un esperto aviatore, tale Giuseppe Colombo, il quale concluse che l’impresa era possibile.

Poiché il Comando della IV Armata, si rifiutava di fornire i materiali necessari, Peppino Garibaldi parlò del progetto ad un corrispondente di guerra, tale Filippo Naldi, che a sua volta ne parlò ad un industriale, tale commendator Cobianchi, che all’epoca produceva spolette per proiettili d’artiglieria per il nostro esercito. Il Cobianchi si assunse l’onere dell’impresa; visti i fatti, e finalmente anche il Comando del Genio della IV Armata, nella persona del Generale Maurizio Morris, diede il “placet”.

Il piano prevedeva la risalita notturna della parete sud da parte di cinque alpini a bordo del pallone aerostatico; raggiunta la cengia sottostante quota 3.153, gli alpini sarebbero sbarcati e avrebbero preso posizione in attesa dei rinforzi muniti di mitragliatrice. La squadra d’assalto avrebbe risalito il canalone sovrastante per sorprendere gli Austriaci.

A Milano il Cantiere Aeronautico Usuelli realizzò il pallone, opportunamente mimetizzato, della capacità di quasi 900 metri cubi. I primi giorni di ottobre il pallone assieme ad una novantina di bombole d’idrogeno ed alle lunghissime funi per frenarlo fu trasportato al Pian d’Ombretta. All’improvviso giunse, però, l’ordine di ritirata al Piave e tutta l’attrezzatura fu riportata a valle.

Il che, probabilmente, fu un bene....

Infatti, il pallone salendo lungo una parete non verticale, si sarebbe trovato al termine dell’ascensione a circa 380 metri di distanza dalla cengia, con la conseguente impossibilità di far sbarcare la squadra d’assalto.

Il pallone aerostatico sarebbe stato, infine, un facile bersaglio per la guarnigione austriaca: pochi proiettili sarebbero bastati per far esplodere l’involucro gonfiato di idrogeno, gas molto infiammabile.